La relazione investigativa costituisce prova dell’infedeltà del coniuge

Ai fini dell’addebito della separazione, l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave determinando l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza. Pertanto, la relazione scritta redatta da un investigatore privato può essere utilizzata dal giudice come prova atipica, avente valore indiziario e valutata unitamente ad altri elementi di prova ritualmente acquisiti.

***

Il Tribunale accoglieva la domanda di addebito della separazione proposta dal marito nei confronti della moglie; rigettava la domanda di addebito della separazione proposta dalla moglie nei confronti del coniuge; poneva l'obbligo di mantenimento a carico del padre in favore delle due figlie minori e condannava la moglie al pagamento di un quarto delle spese di lite, compensando tra le parti i restanti tre quarti.

Avverso tale sentenza la moglie proponeva appello innanzi alla Corte territorialmente competente; il giudice del gravame accoglieva parzialmente l'impugnazione disponendo l'aumento del contributo di mantenimento in favore delle due figlie minori, rigettava tutte le ulteriori doglianze e condannava l'appellante alla rifusione, in favore dell'appellato del 50% delle spese del giudizio di appello. Avverso la predetta sentenza l'appellante proponeva ricorso per cassazione articolato in sei motivi. Resisteva con controricorso l'appellato.

Con il primo motivo la ricorrente eccepiva la violazione degli artt. 101,115,116 e 214 c.p.c., e art. 2702 c.c., per avere il giudice di secondo grado ritenuto provata l'asserita violazione dell'obbligo di fedeltà da parte della ricorrente; con il secondo motivo si eccepiva la violazione e falsa applicazione dell'art. 151, secondo comma, c.c., per avere il giudice del gravame attribuito erroneamente rilevanza a fatti successivi alla cessazione della convivenza; con il terzo motivo veniva dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 132 c.c., 232 c.p.c. e 111 Costituzione, per avere il giudice di secondo grado reso una motivazione del tutto insufficiente e contraddittoria in ordine agli altri elementi probatori ritenuti rilevanti ed attendibili al fine di poter affermare che la ricorrente avesse posto in essere un comportamento contrario ai doveri coniugali e che, in particolare, avesse violato l'obbligo di fedeltà; con il quarto motivo si eccepiva la violazione degli artt. 143 e 151, secondo comma, c.c., per non aver il giudice di secondo grado compiuto un accertamento rigoroso relativamente alla sussistenza del nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ai coniugi ed il determinarsi dell'intollerabilità della convivenza; con il quinto motivo si deduceva la violazione dell'art. 2679 e 151 c.c., per non avere il giudice di appello correttamente applicato i principi vigenti in materia di riparto probatorio; con il sesto motivo si eccepiva la violazione dell'art. 91 c.p.c. e 24 della Costituzione per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto di dover compensare per metà le spese del giudizio di appello.

La Suprema Corte riteneva il primo motivo inammissibile: evidenziava che la censura investiva non un fatto inteso in senso storico avente valenza decisiva, ma elementi probatori suscettibili di valutazione, come la relazione investigativa, rientrante tra le prove atipiche liberamente valutabili nel giudizio civile ai sensi dell'art. 116 c.p.c., di cui il giudice è legittimato ad avvalersi. Parimenti venivano ritenuti inammissibili il secondo e terzo motivo; come è noto la dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, ovvero che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità dell'ulteriore convivenza.

Nel caso di specie, la Corte di Appello aveva esaminato le complessive risultanze istruttorie e aveva valutato in modo preciso le molteplici circostanze di fatto, atte a deporre per il carattere adulterino della relazione intrapresa dalla ricorrente giungendo all'affermazione della sussistenza diretta del nesso causalità tra la stessa e la irreversibilità della crisi coniugale. Anche il quarto e quinto motivo venivano dichiarati inammissibili. In tema di addebito della separazione, l'anteriorità della crisi della coppia rispetto all'infedeltà di uno dei due coniugi, esclude il nesso causale tra quest'ultima condotta e l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza; la Corte di appello, valutando il comportamento complessivo dei coniugi, ai fini del riconoscimento dell'addebito, ha tenuto conto sia della criticità del rapporto preesistenti, sia dei fatti accertati a carico della ricorrente concludendo che la circostanze addotte dalla moglie, non potessero essere considerate la causa scatenante della crisi coniugale in modo irreversibile. Il sesto motivo veniva considerato infondato; per il primo profilo di doglianza la Suprema Corte condivide la decisione del giudice dell'impugnazione affermando che l'odierna ricorrente era risultata soccombente circa la pronuncia di addebito a suo carico della separazione, con la conseguenza che la censura sollevata non poteva essere accolta in quanto la ricorrente non era risultata parte totalmente vittoriosa.

Non meritava accoglimento anche il secondo profilo di censura inerente all'omessa nuova regolamentazione, da parte della Corte di Appello, delle spese di lite di primo grado che il Tribunale aveva compensato tra le parti per i tre quarti, ponendo a carico della ricorrente il residuo quarto. A riguardo la Cassazione precisava che in tema di regolamento delle spese di lite nel giudizio di appello il principio secondo cui la riforma anche parziale della pronuncia di primo grado determina la caducazione ex lege anche della statuizione di condanna alle spese, non risulta violato nel caso in cui il giudice di secondo grado confermi espressamente, per le parti non riformate, la sentenza di primo grado, così recependo il pregresso regime delle spese di lite. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono la soccombenza.

Cass. civ, sez. I, sent., 14 febbraio 2024, n. 4038
Avv. Carlo Ioppoli, Presidente ANFI, Associazione Avvocati Familiaristi Italiani
Per contatti: avvocatoioppoli@gmail.com
Tel 06.92946175

lascia un commento

Si prega di notare che i commenti devono essere approvati prima di essere pubblicati